Spesso, si tende a dare un peso enorme a parole comuni, rendendole dei tabù.
Un esempio sono le “parolacce”, termini volgari per indicare cose normali.
Possiamo dire che in Italia, in fatto di parole “proibite”, siamo uno dei paesi più preparati, con ben 75 vocaboli non proprio piacevoli all’udito.


Nella nostra variopinta lingua abbiamo anche le bestemmie, insulti diretti al presunto Dio. Quest’ultime sono considerate molto gravi, siccome, nonostante siamo uno stato laico, la religione cristiana prevale in Italia. Ma perché questo discorso? Diciamo che possiamo distinguere un terzo gruppo di espressioni: quelle denigratorie. Sono rivolte alle minoranze, gruppi di persone messe ai margini della società.


Passando per le strade della vostra città avrete sentito qualcuno, anche per gioco, dire finocchio o checca a qualcuno. Se dietro la parola non c’è risentimento quasi non ci si sente di star dicendo un insulto pesante. È una battuta, nulla di più nulla di meno. Ma vi siete mai fermati a pensare da cosa siano nate queste parole?


Ad esempio il termine “finocchio” proviene (o almeno si crede, dato che non c’è una sicura etimologia) dal periodo della santa inquisizione. Infatti sulle cataste di corpi di omosessuali che bruciavano si lanciavano semi di finocchio, per mitigare la puzza di carne bruciata. (Fonte it.m.wikipedia.org)

Qualcosa di così innocuo come una combinazioni di poche lettere può causare un dolore incredibile alla persona che le riceve.

Immaginatevi questo scenario:

un ragazzo, appartenente a una famiglia fortemente cristiana, a 21 anni decide finalmente di fare coming out (rivelare/annunciare l’essere gay) con i suoi genitori. Lui sa che lo amano e spera per il meglio. Non sa invece che il padre prova un odio profondo per chiunque sia attratto dallo stesso sesso. Non sa che sta per ricevere le parole più dolorose della sua vita. Non sa che dovrà passare le pene dell’inferno per far sì che venga accettato anche solo come essere umano, che la sua stessa madre non riuscirà a mangiare con lui vicino.

A lavoro lo prendono in giro, scrivendogli insulti sulle note del computer, e lo trattano come se fosse l’ultimo scarto della società.

Un giorno, passando per le strade, solo perché vestito “da donna” (l’abbigliamento non ha genere) è stato chiamato frocietto del cazzo da dei passanti, con tanto di risatina. Lui non rideva. Piangeva. Un’ora dopo non c’era più, si era suicidato.

Ma che si aspettava? È contro natura. È strano. È una checca. È un frocio. È una femminuccia. È un ricchione.

Può sembrare estremo come atto, e forse non ci credete. Tuttavia succede, ed è una realtà che va affrontata.

Vi allego qui di sotto articoli che parlano di casi simili, vi consiglio di leggerli per capire defitivamente che le parole hanno un peso.

https://www.fanpage.it/attualita/torino-giovane-tenta-il-suicidio-dopo-la-lite-con-i-genitori-che-non-accettano-la-sua-omosessualita/

https://www.agi.it/cronaca/news/2021-06-27/deriso-gay-suicida-torino-13077404/

https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/11/omofobia-suicida-a-14-anni-mi-emarginano-associazioni-decreto-durgenza/682361/