Martedì 15 marzo, le classi 4D e 4E hanno partecipato a un incontro speciale; sono giunti nella nostra scuola due profughi provenienti dall’Afghanistan. L’incontro è avvenuto grazie al contributo della professoressa Bruzzaniti e di Daniela Cesaretti, che si occupa dei centri di accoglienza “Bakhita” e “Matilde”. Omid e Naseema hanno portato le loro toccanti testimonianze, riportate di seguito.

Omid è un ragazzo di 33 anni, arrivato in Italia dall’Afghanistan all’età di 16 anni. Parte nel 2006 attraversando Pakistan, Iran e Turchia, dove con il gommone più economico arriva nei pressi di Patrasso, laddove si è mosso in direzione Italia. Il viaggio verso l’Italia è lunghissimo, dura 36 ore, sopra la ruota di scorta di un tir. L’autista, appena arrivato in Italia, si ferma e chiama la polizia, ma nel mentre Omid si rifugia sopra un albero. Il ragazzo raggiunge Roma e più in là anche Torino, dove aveva delle conoscenze. Viaggia anche in Inghilterra e in Norvegia, ma, torna sempre nel Bel paese.

Se lei volesse, tornerebbe in Afghanistan? Chiede Giuseppe subito impressionato dalla forte testimonianza.

Omid risponde: “No, quando sono immigrato ero piccolo; mi trovo meglio in Italia che in Afghanistan perché sono un cittadino italiano e rimarrò sempre qui, anche se un giorno la situazione sarà migliore. Non conosco il futuro, ma me piace l’Italia, la sua cultura, mi trovo meglio dell’Afghanistan. Quando ero piccolo anche per l’assenza di mia madre, non ho vissuto bene. Continua dicendo: “Ho una moglie e un figlio di nome Yousef (che in afgano significa Giuseppe). Ho salutato mia madre per l’ultima volta nel 2006 e da lì me la sono cavato da solo”.

Un ragazzo dal fondo dell’aula fa una domanda: Le prime preoccupazioni del tuo viaggio?

“Potevo andare a combattere, morire. Quando c’è guerra, è guerra. Ho affrontato tutto da solo dal Pakistan. Devi arrangiarti da solo”.

Cosa ti ha creato più difficoltà?

“Anche se varia da persona a persona, sicuramente la lingua, ma soprattutto aiutare le famiglie che ancora oggi si trovano nel Paese. Per esempio invio soldi ai miei cognati”.

Come ti ha cambiato il viaggio?

“Dovevo pensare da adulto, maturare presto, ma per fortuna sono stato accolto e coccolato da una famiglia italiana. Purtroppo mio padre italiano è venuto a mancare nel 2019. Gli volevo tanto bene. Quando ho fatto questo viaggio avevo tante difficoltà. Ho affrontato tutto da solo“.

Quando sei partito per venire qui in Italia, immagino avete lasciato lì i parenti; li avete più sentiti?

“Nel 2006 non esistevano gli smartphone, ma i telefoni satellitari. Non potevo chiamare direttamente mia mamma. Nel 2008 mia madre è venuta a mancare. Mio padre poi è andato a Kabul. Ora con internet lo posso contattare. Negli anni passati era più semplice vivere nel Paese rispetto ad oggi. Ho molto paura per loro. Rischiano la vita tutti i giorni”.

Naseema è la seconda intervistata; è stata insegnante di matematica alle superiori per 45 anni. I Talebani la prima volta l’hanno costretta a lasciare l’Afghanistan e a rifugiarsi in Pakistan, dove ha insegnato per 11 anni. Ha cresciuto 4 figli. Uno lavora con l’ambasciata italiana, un altro è medico a Brescia, una è in Australia e l’altra a Londra. Durante le fasi della guerra, negli anni precedenti portava i suoi figli in cantina e nonostante tutto, gli forniva lo studio necessario per crescere.

Ci consiglia Naseema: “Vi consiglio di non perdere tempo, di studiare, nonostante le difficoltà. Insegnavo in ogni momento. Studiate perché il tempo non vi torna”.

Tornerebbe nel suo paese d’origine?

“Tornerei per lo scopo di insegnare e se potessi parlare in italiano, mi piacerebbe insegnare matematica qui in Italia”.

Viene posta una domanda sulle differenze culturali dei due Paesi.

“Non abbiamo tanta differenza fra le due culture, ogni cultura ha i punti negativi e positivi. Mi è piaciuta la cultura italiana e ho trovato l’umanità, che è fondamentale per una cultura”. Continua dicendo: “Gli italiani hanno umanità, sono collaborativi, hanno reso orgoglioso il loro paese, danno tanto all’altro, questo mi ha colpito. Siamo dispiaciuti per il nostro Stato, arrabbiati con la nostra gente perché non hanno voluto costruire un Paese come l’Italia nonostante le opportunità che avevamo”.

Come è stato il suo viaggio e come si è sentita a fuggire dal suo Paese?
Doloroso ma abbastanza semplice, ha avuto la possibilità di venire qua tranquillamente con l’aiuto dell’ambasciata. Avevamo tutto la, una casa nostra, vivere insieme con tutti i figli.”

Ultima domanda: Cosa è cambiato in Afghanistan dopo l’arrivo dei Talebani?

“I Talebani impediscono di studiare, prima l’istruzione era uguale come qui in Italia. Avevamo il diritto di studiare e eravamo liberi”.