Siamo passati da una pausa dalla scuola di due settimane, a una pandemia che dura da due anni. In poche parole abbiamo saltato una terribile interrogazione di latino al costo di 5,71 milioni di vite umane. Alla vigilia dell’anniversario della pandemia, la domanda sorge spontanea: quando finirà tutto questo?

La risposta è, però, decisamente meno spontanea, che costringe a fare i conti con i fatti e ad abbandonare il caro “andrà tutto bene”, che ricorda tanto il 2020. E’ importante analizzare il caso in modo attento, conoscendo il passato, ma ricordando che abbiamo davanti un evento unico.

Molti comparano il COVID-19 all’influenza spagnola, trovando quasi rassicurante il paragone. La spagnola, infatti, è durata dal 1918 al 1920, con quattro picchi di contagi e, essendo attualmente passati due anni e quattro picchi, dovremmo essere prossimi anche noi alla fine. Tutto questo sarebbe fantastico, ma è difficile che la storia si ripeta con tale precisione. Parlando, inoltre, di due malattie diverse, è più saggio confrontare il COVID-19 con gli altri tipi di “coronavirus” che con la spagnola. Ciò può essere forse meno tranquillizzante, ma sicuramente ci darà un punto di vista più realistico.
Dei ricercatori hanno analizzato il coronavirus 229E, una malattia simile all’influenza, che può essere contratta più volte durante l’arco di vita di un individuo. Gli esperti hanno notato che il sangue dei malati, in diversi periodi storici, aveva diversi marcatori immunitari. I risultati della ricerca parlano chiaro: la malattia muta durante gli anni, proprio per questo può essere presa e ripresa. Il coronavirus 229E ci dice che il COVID-19 tenderà a mutare, ma anche che forse tenderà a diventare simile a un’influenza. Ma quando e come il virus mortale, che ci affligge da due anni, arriverà a diventare un raffreddore stagionale?

La nostra più grande speranza, il nostro giocatore che cambia la partita, è l’endemia. In un’endemia il rate di infezione è stabilizzato, senza più inquietanti picchi di contagi. Questo giocatore entra in campo solo se c’è un basso “reproduction number”, cioè il numero di individui sani infettati da un singolo malato.
Con l’endemia arriveremmo a una situazione più gestibile di quella attuale, con meno casi e più risorse per controllarli. Nel caso del covid però, siamo decisamente lontani da questo scenario: con la variante Omicron abbiamo visto i casi alzarsi vertiginosamente. Ciò che, infatti, rende l’endemia spaventosamente meno probabile, sono le mutazioni di cui abbiamo già parlato.
Per “infettarci meglio”, il COVID-19 non avrà bocca e mani grandi come il lupo di cappuccetto rosso, ma un’aumentata trasmissibilità e più grande abilità nell’evitare le risposte del sistema immunitario.
Purtroppo abbiamo già avuto prova della capacità di questo virus di mutare. Un esempio sono le mutazioni nella proteina spike, che hanno reso più facile per il virus entrare nel corpo. Da queste mutazioni derivano le varianti, come la Delta, che ha una trasmissibilità più alta del 60%.

In poche parole, il nostro obbiettivo attuale è combattere le mutazioni, sperando di arrivare ad un’endemia il prima possibile. Da questa premessa, gli scenari che ci appaiono sono sei:

Primo scenario: magicamente, ci vacciniamo tutti in pochissimo tempo. In questo caso, saremmo protetti da un enorme muro di immunità, portando il coronavirus ai livelli di un’influenza. Ebbene sì, arriveremmo all’amata endemia.
Questa è un’opzione che piacerebbe a tutti… tranne agli antivax, che la rendono terribilmente meno realistica.

Secondo scenario: restiamo nello scenario dell’endemia, ma diamo al virus il tempo di mutare. In questo caso, alcuni individui potrebbero essere reinfettati dal virus mutato. Per combattere le mutazioni dovremmo sottoporre la popolazione a vaccinazioni periodiche, un po’ come quelle annuali per l’influenza.

Terzo scenario: viene creato un vaccino a vita contro il COVID19, debellandolo completamente. Possiamo sperarci, ma io spero in un jetpack da quando ho otto anni e ancora nulla. E’ una possibilità quanto bella quanto remota.

Quarto scenario: il COVID19 viene preso dai bambini tra gli zero e i due anni, con sintomi moderati. Ciò porterebbe ad un’immunizzazione degli adulti, che hanno già contratto il virus da piccoli. Risolveremmo il problema, ma chiaramente è una soluzione a lungo termine.

Quinto scenario: il coronavirus diventa simile all’influenza A. Quest’influenza è caratterizzata da rapide mutazioni, per cui si può prendere questa malattia più volte nell’arco della propria vita, in alcuni casi con sintomi gravi. Anche qui servirebbero vaccinazioni annuali per contrastare le mutazioni.

Sesto scenario: il coronavirus diventa simile all’influenza B. A differenza della “A”, l’influenza B muta lentamente, ciò vorrebbe dire che una volta presa la malattia, si può stare relativamente tranquilli per il resto della propria vita.

In conclusione, la risposta è che purtroppo il covid non finirà mai davvero. Il tanto agognato “ritorno alla normalità” è un miraggio, qualcosa che ci viene raccontato per non farci disperare. La verità è che in un modo o nell’altro dovremo combattere questa malattia per il resto della nostra vita, usando vaccini e mascherine come spade e scudi.

Fonti:

https://www.nature.com/articles/d4158…

https://www.nature.com/articles/d41ht…

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https://www.gov.uk/government/publica…

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33831…

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33275…

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33464…

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32105…

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33289…

https://www.nature.com/articles/d4158…